Nella decennale, se non centenaria, diatriba che contrappone l'Italia e la Francia, c'è un terreno di scontro nel quale i nostri cugini francesi si sono indubbiamente mostrati più esperti di noi. Con tutti i pro e i (forse tanti) contro del caso, a loro va riconosciuto il merito di aver saputo costruire grandi gruppi del lusso che, in virtù delle dimensioni e delle cifre monstre correlate, è senza dubbio più opportuno definire colossi.
Se però da un lato far parte di un grande gruppo offre innumerevoli vantaggi - tra cui il fatto di avere accesso a un ingente capitale, a un ampio portfolio di talenti e a una strutturata capacità distributiva che agevola l'ingresso in nuovi mercati - dall'altro vi è sicuramente un prezzo da pagare, e quello che potrebbe pesar di più è il rischio di perdere l'indipendenza creativa e culturale.
Di dimensioni ridotte e con una struttura più snella — il che rende, tra l'altro, più agevole il cambiamento repentino richiesto dai mercati - i gruppi italiani sono forse la giusta alternativa per mantenere un'identità e avere al contempo un supporto finanziario per crescere?